Pioveva...ricordo che pioveva fitto fitto.
Quando vennero a prenderci pioveva...era quasi buio, l'aria era grigia ed il cielo senza stelle.
La signora Brunner ci aveva guardato con aria sconsolata.
"Mi dispiace...mi dispiace tanto ..."
Non capivo. Le dispiaceva? Di cosa? Chi erano quei signori con la camicia bruna che ci stavano portando via?
La mamma ci strinse forte a sè, ma quegli uomini ci spinsero con prepotenza fuori dalla porticina della cantina dove eravamo nascosti.
Io non avevo capito, fino ad allora, perché eravamo stati costretti a vivere là sotto: eppure avevamo una bella casa, papà aveva un buon lavoro, non ci mancava nulla.
Poi all'improvviso qualcosa aveva cambiato le nostre vite.
Una notte, la mamma ci svegliò, raccolse in fretta le nostre cose e ci portò a casa della signora Brunner...anzi, nella sua cantina.
Chissà cosa sarà accaduto poi alla signora Brunner...
La mamma diceva che si era messa in guai seri per noi, ma non ho mai saputo cosa sia stato di lei dopo che ci hanno portati via.
Quando arrivammo alla stazione, ci contarono e ci ricontarono. Poi ci divisero: gli uomini da un lato, le donne dall'altro.
Forse dovrei dire i maschi da una parte, le femmine dall'altro...come animali, ci caricarono su carri bestiame, dividendo anche i bambini maschi dalle loro madri.
Io restai con la mamma...Joseph, che era di un anno più grande di me, andò invece con papà.
Io e Joseph eravamo sempre stati insieme: non sembrava contare la differenza di età, la differenza di sesso...giocavamo insieme, facevamo insieme i compiti ed insieme ci arrampicavamo sugli alberi...lui è sempre stato più bravo di me, ma pazientemente mi aveva insegnato a seguirlo fin sopra la cima della vecchia quercia che era nel giardino di casa nostra.
Quando quegli uomini armati ci divisero, ebbi la sensazione che un pezzetto del mio cuore mi fosse strappato con violenza.
"JOSEPH!" -gridai
Ma la donna che stava contando e separando il bestiame, mi diede uno schiaffo e mi spinse via, imponendomi il silenzio.
È stata l'ultima volta che ho visto mio fratello.
Ci fecero salire in un vagone di ferro...dava cattivo odore, di muffa o qualcosa di simile.
Era gelido quel treno: era novembre e ci caricarono così...senza cappotti, senza coperte.
La mamma piangeva in silenzio, cercava forse di non farmi accorgere del suo dolore, ma io avevo visto lacrime furtive bagnarle il viso.
Mi stringeva forte, forse per scaldarmi, forse per rassicurarmi, potevo sentire il suo cuore battere forte. Pensai che aveva paura anche lei, anche se continuava a dirmi di star tranquilla.
Quel viaggio durò tantissimo, non capivo se fossero trascorse ore o giorni...era buio nel vagone e non si distingueva il giorno dalla notte, mentre il cattivo odore, che già permeava l'aria, si era mescolato con i cattivi odori che ormai emettevamo noi passeggeri.
Arrivammo a destinazione ormai a pezzi ed io pensai che finalmente avremmo potuto riposarci da quel lungo viaggio. Non immaginavo ciò che ci aspettava: Auschwitz era il nome della nostra nuova casa.
Ci misero in fila per due, io ero attaccata alla mano della mamma, terrorizzata all'idea che ci avrebbero separate, mentre da lontano potevamo intravedere un'altra fila di "bestiame", quella dei maschi.
Cercai con lo sguardo mio padre e mio fratello, ma non riuscii a scorgerli. La mamma non parlava, ma sapevo, mi ero accorta che anche lei sperava di vederli.
I suoi occhi erano arrossati di pianto, un pianto silenzioso, cupo, disperato.
Ci condussero all'interno di una struttura immensa...lo chiamavano il campo.
Il suolo era polveroso e pieno di sassi...inciampando, mi sbucciai le ginocchia e mi preoccupai di aver sciupato il mio vestitino rosso, col nastro a quadri blu, uguale a quello con cui la mamma mi aveva intrecciato i riccioli. Non sapevo che presto me l'avrebbero tolto.
Ci condussero all'interno di una delle tante baracche, in una camerata enorme...tante lunghissime file di letti a castello.
La divisione del bestiame continuò: la donna che ci interrogava era alta e bionda e non sorrideva mai, se non una specie di ghigno di tanto in tanto.
" Come ti chiami ?"
" Sarah... Sarah K. "
" Quanti anni hai ?"
" 8 anni e mezzo "
" Spogliati. Togli tutti i vestiti "
" Cosa? Ma io mi vergogno!"
Mi schiaffeggiò con tale forza che smisi di obiettare...
Nel giro di qualche ora, una specie di pigiamone a righe aveva preso il posto del mio vestito rosso ed i miei riccioli erano rimasti sul pavimento, mentre ci marchiavano come mucche. Non so per quanto tempo ho continuato a piangere per quei capelli rasati, mentre la mamma mi accarezzava il capo ormai privo della mia infantile vanità femminile.
A mano a mano che i giorni, i mesi trascorrevano, imparavo che ciò che contava non erano più i miei capelli...
Non il mio vestitino rosso col nastro...
Non quei numeri disegnati dolorosamente sul mio avambraccio...
Ma la FAME...
La fame che ti assale con ferocia, quella per cui ci prendevamo a botte anche per un pezzetto minuscolo di pane duro.
Adesso, ciò che ricordo con maggior chiarezza sono gli occhi della mamma...
Quegli occhi che ogni giorno divenivano più grandi e più scavati...
Quegli occhi che non avevano più lacrime da piangere ormai...
Quegli occhi che sembravano aver perso tutta la loro luce, tutta la loro dignità.
Quel giorno, all'improvviso ci sembrò di avere una sorpresa totalmente insperata, talmente bella che non riuscimmo a parlare per qualche secondo.
Papà era riuscito -chissà come- a sfuggire all'attenzione dei suoi cerberi ed era corso nella nostra camerata per vederci.
La mamma lo fissò senza parlare, poi sollevò il suo ossuto braccio stanco per accarezzargli il viso.
" Dov'è Joseph ?" -gli chiese la mamma.
" L'hanno portato via ieri -rispose- dicono che i bambini saranno dati in adozione a famiglie ricche tedesche che non possono aver figli. Ma è meglio così, credimi. Era talmente magro ormai...li rimetteranno in sesto e poi li porteranno dalle loro nuove famiglie. Quando l'hanno chiamato ieri, hanno detto che prima li avrebbero portati a fare una doccia per ripulirli bene..."
Solo anni dopo, ho capito che fine avesse fatto mio fratello.
Quando arrivò la soldatessa, trascinò via mio padre a pedate, colpendolo ripetutamente alla testa con il calcio del fucile, ma lui seppe sottrarsi per un istante alla sua aguzzina, per tornare ad abbracciare ancora un istante mia madre...
BANG!
Le si accasciò fra le braccia, come in un ultimo disperato abbraccio...
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Il GIORNO DELLA MEMORIA è stato istituito ufficialmente nel 2000 con legge del Parlamento italiano, in adesione alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazismo. Vi aderiscono chiaramente molti altri stati, inclusa la stessa Germania.
L'Art. 1 della legge n. 211/2000 recita: "La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz , " Giorno della Memoria ", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Primo Levi ha dichiarato in proposito: " Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario ".
La scelta di questa data per commemorare l'Olocausto ha voluto ricordare l'arrivo delle truppe sovietiche presso la città polacca di Auschwitz, il 27 gennaio 1945, scoprendone l'ormai noto campo di concentramento e liberandone gli ormai pochi sopravvissuti, rivelando al mondo gli orrori del regime nazista, il quale aveva messo in essere un vero e proprio genocidio, sterminando circa 6 milioni di ebrei, oltre ad altre "categorie detestabili", quali zingari, omosessuali, testimoni di Geova, oltre a (inorridisco ulteriormente!) disabili e malati di mente...
Si è calcolato, con approssimazione, che il numero di morti provocati dall'Olocausto si aggira attorno ai 10-14 milioni di persone, sterminate soprattutto nei campi di concentramento, oltre che torturate, utilizzate come cavie a scopo "scientifico" a tutela della razza ariana , o giustiziate sommariamente.
Sin dagli anni '30 il regime Hitleriano aveva introdotto le Leggi razziali che si ponevano lo scopo di escludere dalla vita politica, sociale, economica coloro che non appartenevano alla razza eletta, ovvero quella ariana, tenendo perciò a debita distanza le categorie indesiderabili per il regime prima dalle cariche pubbliche e dai lavori di prestigio ed in seguito addirittura dalle unioni civili e sessuali (vietati prima i matrimoni misti, poi addirittura le unioni fisiche miste per evitare rischi di contaminazione tra razze), fino a relegare gli ebrei nei ghetti, nella migliore delle ipotesi, deportandoli nei campi di concentramento in quella più efferata.
Oggi gli efferati crimini nazisti sono considerati crimine contro l'umanità .
Pochi oramai sono rimasti i superstiti ancora viventi e la narrazione di queste atrocità è divenuta compito della scuola e dei libri di storia, oltre che dei Media, che ogni anno in questa occasione intraprendono numerose iniziative didattiche e/o informative, allo scopo di favorire una sempre più approfondita conoscenza dell'argomento, oltre a riflessioni indirizzate ad un dibattito sempre aperto all'interno della comunità.
Lo scopo precipuo del Giorno della memoria vuole dunque essere anzitutto quello di interrogarsi:
affinchè certe atrocità non siano mai sottovalutate...
non siano mai banalizzate...
non siano mai dimenticate...
...NON SIANO MAI RIPETUTE!
In ebraico, il termine ''Shoah'' significa catastrofe
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N.D.R. Questo scritto risale a molti anni fa, mi era sembrato doveroso condividerlo con chi mi segue con un po' di costanza, sebbene in esso non troverete la leggerezza dei toni a cui vi ho abituato
Chiedo scusa se le immagini ed i contenuti fossero troppo pesanti, ma credo che ci siano momenti in cui bisogna guardare in faccia la realtà e chiamare le cose con il proprio nome.